
Soldi, soldi, soldi!
Anche la canzone vincitrice di Sanremo ha nel ritornello i soldi.
Viviamo un’epoca in cui i soldi rappresentano spesso una vera e propria ossessione, al punto da confondere mezzi e fini. Già, proprio perché i soldi sono un mezzo e non un fine. Se siamo nel bel mezzo del deserto possiamo avere in tasca tutte le banconote che vogliamo ma non servono a nulla, se non abbiamo acqua moriremo comunque di sete. I soldi sono nati per semplificarci la vita: qualche secolo fa scambiare 10 mucche per 100 polli iniziava a diventare difficile fisicamente, quindi abbiamo inventato i soldi. Tutto qui, un semplice mezzo, uno strumento di comodità, nulla più.
Purtroppo alcuni secoli dopo, come lo stolto che guarda il dito e non la luna, ci siamo talmente fissati sui soldi che abbiamo iniziato a pensare che potessero essere un fine. Ma non mi voglio fermare a questo ragionamento, proverò ad andare oltre. Perché, a mio avviso, molte delle storture del sistema economico attuale, sono dettate proprio da tale fraintendimento.
Chi è concentrato sui soldi tenderà ad un atteggiamento competitivo, chi è concentrato sui fini (bisogni e desideri) ad un atteggiamento collaborativo.
Mario pensa solo ai soldi, tutta la sua vita ruota attorno a questo mantra e cerca di rincorrerli in ogni modo. Se i soldi del mondo fossero 1000 fantalire cercherà di averne il più possibile (al netto di quanti ne stampano le banche centrali); ad esempio se arriverà a possederne 100, per tutti gli altri abitanti della terra ne rimarrebbero 900. E tutti gli altri farebbero lo stesso. Quindi si genererebbe una totale competizione a possedere più soldi. E quindi nelle scelte sul lavoro, in azienda e in generale tenderà ad ottimizzare il proprio interesse.
Luigi pensa ai fini: i suoi bisogni o desideri. Ad esempio sono mangiare cibo sano e buono, vestirsi in modo elegante e rispettoso dell’ambiente, vivere in una casa bella (e magari energeticamente efficiente). Se Luigi è focalizzato sui fini è interessato al fatto che l’agricoltore che coltiva il suo cibo possa farlo nel migliore dei modi; che l’industria tessile possa lavorare in qualità e rispettando l’ambiente il più possibile (che tra l’altro è la seconda più inquinante dopo il petrolio), è interessato al fatto che l’impresa che gli ristruttura casa sia fatta da persone preparate, competenti, in modo da realizzare un ottimo lavoro. Non gli interessa spendere più soldi, alla fine ne avrà certamente meno di Mario ma avrà soddisfatto i suoi bisogni e desideri. E allora non si tirerà certamente indietro dall’aiutare questo tipo di imprese e persone: perché hanno un fine comune. Il potere del fine comune è incredibile, catalizza le energie e fa collaborare gli esseri umani. Siamo fatti così, è la nostra natura, collaborativa. Se invece il fine ultimo di tutti noi sono i soldi, per definizione iniziamo a non collaborare, anzi a rubarceli l’un l’altro. Perché non capiamo più che la ricchezza vera sta nel valore delle cose, non nel numero di banconote.
Purtroppo oggi collaboriamo poco, potremmo fare molto ma molto di più, proprio perché viviamo in una società immersa in una logica che vede nei soldi un fine. Se pensassimo che i soldi sono un mezzo e non un fine probabilmente avremmo già risolto il problema del surriscaldamento climatico, dell’inquinamento, della povertà, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo ecc… proprio perché quando il fine diventa comune catalizza le energie collettive e si collabora. Tutto ciò fortunatamente sta accadendo, ma troppo lentamente.
Cosa si può fare? La prima cosa, molto semplice, che mi viene in mente è fare educazione nelle scuole, spiegando i semplici concetti di questo articolo, ossia che il denaro e il valore sono due cose diverse. In questo modo, gli studenti si porteranno dietro questo semplice concetto, e non rischieranno più di confondere fini e mezzi. Così come il Lavoro, che non è un fine ma un mezzo, ma qui apriamo un altro capitolo.
Matteo Plevano